«È giusto che i giovani debbano sacrificarsi di più e fare la gavetta?» chiedono gli autori di Will. Secondo qualcuno è giusto, perché sono esperienze che fanno crescere, a patto che vengano riconosciute. «Anche il leader ci è passato e quando ha iniziato ha fatto dei sacrifici». Una visione che non trova d’accordo una studentessa, secondo la quale il leader dovrebbe stare maggiormente in ufficio, dando l’esempio; e non è detto che i giovani, per crescere, debbano per forza lavorare di più. Secondo Lucrezia, invece, fare dei «sacrifici serve perché si impara di più e il lavoro duro paga e viene riconosciuto». Sulla stessa lunghezza d’onda Susanna che ritiene sia giusto fare la gavetta per imparare, ma anche per costruire un rapporto di fiducia con il leader che dovrebbe saper riconoscere e premiare gli sforzi. Il dialogo, in questa logica, è fondamentale per costruire un rapporto di fiducia. Un metodo molto apprezzato da Antonelli, secondo il quale la fiducia passa dal dialogo e dalla capacità del leader di coniugare gli obiettivi aziendali con le esigenze delle persone e del team. Si tratta, conclude, di una leadership inclusiva e non autoritaria. Uno stile, quello autoritario, «che ho vissuto in passato, che esclude, colpisce i diversi e a volte fa anche vergognare le persone». Un sentimento che non dovrebbe essere provato in azienda, perché il leader dovrebbe trasmettere passione, motivando la propria squadra.
I leader del futuro: carisma, adattabilità e capacità di lettura
Per Antonelli, dunque, la passione è un ingrediente cruciale per la leadership, dato che «non esistono leader senza passione». Per questo, aggiunge, dovete capire quali sono le vostre passioni, cosa vi fa stare bene, cosa vi fa divertire. Questa è la chiave per capire cosa fare dopo l’università e per orientare il vostro futuro: «nel futuro che leader vorreste essere?». «Vorrei essere un trascinatore, afferma un ragazzo, perché vorrei portare il mio team – in ambito finanziario – a risultati migliori grazie a una leadership fondata sulla personalità e il carisma». Per qualcun altro, per essere leader occorre saper gestire i rischi ed essere consapevoli delle circostanze per orientarle a proprio vantaggio. Il leader, in questo senso, è colui che si sa adeguare al contesto. Una visione condivisa anche da Andrea D’Acunto – People advisory service e BD leader EY Italia – che, a margine dell’evento, sottolinea come il leader sia colui che «è in grado di valorizzare l’unicità di ciascun membro del team in una dimensione olistica volta a migliorare la performance individuale e collettiva». Un miglioramento, aggiunge, che passa anche dalla passione, che è una componente decisiva della leadership che «deve saper motivare ma anche ispirare i collaboratori tramite l’esempio».
Per diventare leader bisogna superare alcuni ostacoli
Tuttavia, per diventare leader ci sono diversi ostacoli che vengono messi in luce dalla platea. Per Lucrezia, le donne hanno difficoltà maggiori, anche se non si sente spaventata perché «basta credere in sé stesse, nelle proprie capacità e competenze per superare la propria insicurezza e farcela». Con questo approccio, conclude, ci saranno meno ostacoli e non temeremo la leadership maschile. Secondo qualcun altro il problema riguarda la scarsa meritocrazia che si declina in sistemi poco trasparenti che non premiano il merito. Criticità condivisa anche da Andrea secondo il quale in Italia ci sono sempre meno posti di lavoro ed è avvantaggiato chi sfrutta una rete di relazioni consolidate.Una studentessa aggiunge che talvolta la generazione dei baby boomer «vede di cattivo occhio la Gen Z perché entra a gamba tesa e perché pretende troppo». Una posizione ritenuta ingiusta da Antonelli che chiede alla platea se i giovani vogliono troppo. Per Elia pretendono sicuramente a livello economico, dato che vorrebbero «vedere riconosciuti gli sforzi maturati negli anni universitari che dovrebbero elevarci rispetto a chi non ha proseguito il percorso di studi». Un punto condiviso da Antonelli che sottolinea come il percorso scolastico in Italia venga scarsamente riconosciuto rispetto ad altri paesi a livello internazionale. L’obiettivo, secondo il CEO di EY, deve essere quello di rafforzare il dialogo tra università e mondo del lavoro, come emerso nella tappa di RiGenerazioni al Politecnico di Bari, per far sì che l’ottima preparazione universitaria venga pienamente valorizzata nel mondo del lavoro.
Prossima tappa a Napoli per parlare di qualità della vita e del lavoro
«Ho studiato in questa università e vedervi qui mi ha fatto molto piacere e mi ha emozionato. Siete preparati, avete dei valori e una visione di futuro. Non escludo che tra qualche mese potremo vederci in EY», conclude con un sorriso Massimo Antonelli. Antonelli si confronterà nuovamente con gli studenti il prossimo 18 marzo, all’Università Federico II di Napoli, per dialogare sulla qualità della vita e del lavoro.