Tecnologia, umanesimo e futuro, al via il primo appuntamento di EY Circle, Inspire & Lead, parte del nuovo programma Alumni di EY Italia

Intelligenze naturali e artificiali, modelli computazionali, ma anche i risvolti filosofici ed etici dell’AI generativa sono stati al centro del primo appuntamento di EY Circle, Inspire & Lead, all’interno del programma Alumni di EY Italia, che si è tenuto a Villa Necchi Campiglio a Milano

La rivoluzione dell’intelligenza artificiale, il suo potere trasformativo ma anche l’algoretica, l’innovazione e soprattutto il potere delle reti di silicio che dovranno essere governate per evitare di subire la disruption tecnologica. Questi ed altri i temi del primo evento di EY Circle, Inspire & Lead, programma dedicato a una esclusiva cerchia di Alumni di EY Italia che si è tenuto lo scorso 3 ottobre a Villa Necchi, a Milano.

In un mondo di reti di silicio abbiamo voluto riunire qui a Villa Necchi, la nostra vecchia rete in carbonio. Se vogliamo governare la trasformazione e garantire la robustezza del carbonio, dobbiamo distribuire un po' di proteine extra - contenuti e pensiero, e manutenerle con cura.

La forza delle reti di carbonio e delle relazioni umane

(L’introduzione dell’evento a cura di Stefania Boschetti e Marco Mignani)

Quella di oggi è una ri-unione, è il riattivarsi di una rete di carbonio, di persone che hanno condiviso grandi esperienze che hanno forgiato legami forti. Con queste parole, Stefania Boschetti, CEO di EY Italia, ha aperto i lavori, ringraziando i presenti e Marco Mignani, EY Italy Alumni Project Leader per l’organizzazione dell’evento. Boschetti, nella sua introduzione, ha sottolineato il valore del networking che ha un profondo significato, soprattutto in una fase storica segnata dalle reti di silicio che stanno modificando profondamente le relazioni umane e anche i processi attraverso cui si acquisiscono le conoscenze e vengono trasferite sul mercato. Oggi, ha spiegato, è importante dotarsi di strumenti per governare questi processi e non subirli. La nostra rete di carbonio, che deve essere attivata anche attraverso incontri fisici, è una modalità efficace di affrontare la trasformazione e necessita di proteine per consolidarsi e guardare al futuro. In quest’ottica, ha concluso, EY circle inspire & lead punta a nutrire il pensiero e i contenuti della rete di carbonio EY, affinché non ceda alle reti di silicio ma le sappia governare. Questo deve essere un viaggio tecnologico, ma soprattutto umano.

La leadership deve essere nutrita quotidianamente con cultura e conoscenza, con qualcosa che garantisca un boost importante in un momento in cui le nuove tecnologie mettono in discussione le relazioni umane. Marco Mignani ha raccontato il percorso Alumni, fondato sull’engagement culturale legato a uno spazio aperto e libero per condividere conoscenze ed esperienze, favorendo lo sviluppo del pensiero laterale in un’ottica di coinvolgimento attivo. Un viaggio aperto senza mete prestabilite che va costruito e disegnato collettivamente. Anche se, ha proseguito, abbiamo definito tre tappe dedicate rispettivamente all’AI e il suo potere trasformativo, al Climate tech e sostenibilità e al capitale umano.

Mignani ha concluso il suo intervento presentando l’agenda e introducendo il keynote dialogue tra Padre Paolo Benanti e il Professor Gianluigi Greco, moderato da Walter Mariotti, teorico e Direttore di Domus.

BrAIn, intelligenze, mente e innovazione

(Il panel con Paolo Benanti e Gianluigi Greco, moderato da Walter Mariotti)

Aprendo il dialogo dedicato all’intelligenze artificiale, Walter Mariotti, ha illustrato il valore simobilico ed ermeneutico di Villa Necchi Campiglio, illustrandone la storia architettonica legata al progetto modernista di Piero Portaluppi, che fu una vera rivoluzione, e poi alla rivisitazione restauratrice, all’insegna del prépon artistotelico, ovvero del decoro estetico, che venne chiesta in seguito a Tomaso Buzzi. Nelle parole di Mariotti così Villa Necchi Campiglio diventa la metafora di come l’innovazione disruptive cambi per sempre le regole del gioco aprendo nuove possibilità e scenari ma, se non gestita da un’adeguata preparazione culturale e spirituale, diventa problematica e possa rovesciarsi in controrivoluzione.

La sezione BrAIn, ha spiegato poi Mariotti chiamando sul palco Benanti e Greco, è dedicata all’indagine del cervello, della mente e dell’intelligenza – naturale e artificiale – alla loro relazione nelle dimensioni spirituale e cognitiva. Una relazione, ha esordito il Professor Greco, complessa che apre alla domanda del nostro tempo che si era già posto Alan Turing: le macchine possono pensare? Questa, ha spiegato, è una questione fondamentale che è stata anche la molla per l’intelligenza artificiale. Da un punto di vista filosofico è fondamentale capire se una mente che progetta una macchina per ri-simulare il modo con cui quella mente ha progettato quella macchina è pensiero o meno. Un punto cruciale, anche per Mariotti, che rivolgendosi a Padre Benanti ha chiesto lumi sul rapporto tra intelligenza naturale e artificiale. La macchina - come quella del topolino di Shannon che utilizza le informazioni per controllare il meccanismo e uscire dal labirinto – può essere definita intelligente, ha spiegato Benanti. O meglio il suo comportamento è intelligente, ma non può essere paragonata all’intelligenza umana. La macchina, in altre parole, è intelligente nella misura in cui utilizza le informazioni per trovare soluzioni a problemi dati.

Innovazione, ovvero la capacità dell’AI di andare oltre le capacità umane

(Il Professor Greco disquisisce sull’innovazione e l’AI)

Una riflessione, questa, che ha spinto Mariotti a chiedere ai due relatori di esplorare il rapporto tra AI e innovazione. Per Greco il rapporto tra le due è fondamentale, perché bisogna chiedersi se l’intelligenza artificiale, con la sua capacità di aumentare efficacia ed efficienza, porta davvero innovazione. Il nodo, ha argomentato, riguarda le modalità con cui indirizzare l’intelligenza artificiale, affinché vada al di là delle capacità umane, innovando realmente come accade per certi tipi di diagnosi, per le quali l’AI è in grado, per esempio, di leggere esami clinici senza utilizzare il mezzo di contrasto. In altre parole, si ha innovazione solo se le macchine aiutano l’uomo ad andare oltre le proprie capacità. Ed è questo, ha concluso, il senso profondo dell’innovazione. Per Padre Benanti occorre invece analizzare cosa può essere surrogato tramite l’AI. L’intelligenza artificiale può fare tanto ma bisogna capire i benefici che comporta e come viene sfruttato il tempo guadagnato grazie all’utilizzo dei software di AI. E, non da ultimo, occorre verificare e misurare il rapporto tra ciò che viene promesso dall’AI e ciò che viene davvero realizzato.

In questo quadro, ha aggiunto Mariotti stimolando i suoi interlocutori, le competenze rivestono un ruolo cruciale. Per Greco, l’Italia ha scarse competenze strettamente digitali e la sfida è inquadrare e alimentare competenze che servano per affrontare il mondo dell’AI. Non servono, ha aggiunto, solo competenze tecniche, ma anche “competenze lente”, necessarie per muoversi su quei terreni sui quali l’AI non può intervenire.

L’algoretica, l’etica della tecnologia tra forme d’ordine e disposizione di potere

(Paolo Benenati illustra i fondamenti dell’algoretica)

La parte finale del dialogo si è concentrata sull’algoretica, ovvero l’etica della tecnologia che, ha spiegato Benanti, parte dall’assunto secondo cui quando si rilascia una tecnologia in un contesto sociale, essa funziona come una forma d’ordine e una disposizione di potere. E quindi occorre interrogarsi su quale forma d’ordine e disposizione di potere produce un dispositivo innovativo. L’algoretica, del resto, pone le domande con cui interrogare il processo innovativo affinché sia coerente con alcuni pilastri fondamentali; ed è il tentativo di far sì che alcuni principi che vengono stabiliti a priori come criteri di design diventino operativi algoritmicamente. In sintesi, una parte umana deve diventare computabile e introdursi nell’algoritmo (macchina). Una visione apprezzata da Greco, per il quale occorre sempre essere consapevoli dei bias e delle distorsioni algoritmici, così da dar vita a un sistema di controllo capace di vigilare sui foundation model e di integrare i sistemi simbolici, controllati, e quelli subsimbolici, non controllati. Solo così, ha chiosato, si potrà tradurre l’algoretica nella pratica.

Successivamente Giuseppe Perrone, AI & Data EY Italy consulting leader, ha interagito con ChatGpt Advanced Voice Mode mettendo in luce le capacità dell’AI di cambiare linguaggi, modi e toni, creando barzellette, telecronache e anche uno slogan di impatto per l’evento.

iGenius, la democratizzazione della conoscenza 

(Lo speech di Uljan Sharka)

Dopo una breve sessione di domande focalizzata sulle potenzialità e i rischi dell’AI e sui suoi limiti, oltre che sul suo potere trasformativo e sulla capacità di interazione tra uomo e macchina, la serata è proseguita con l’intervento di Uljan Sharka, fondatore e CEO di iGenius.

Il futuro è vecchio. The future is old. Con questa formula ossimorica Sharka ha aperto il suo speech, spiegando che la velocità del cambiamento è talmente elevata che porta spesso a smentire qualsiasi ipotesi sul futuro. iGenius, ha spiegato, nasce nel 2016 con l’obiettivo di risolvere la relazione uomo-macchina, provando a garantire l’uguaglianza digitale, per evitare che la tecnologia diventi un filtro e un limite invalicabile tra le persone e la realtà. Con un’ambizione democratizzare l’accesso ai dati e al mondo della conoscenza. Da questi presupposti iGenius: si è evoluta, diventando il primo unicorno dell’intelligenza artificiale in Italia, valutato un miliardo di euro.

“Nel nostro percorso, ha raccontato Sharka, abbiamo scommesso sul futuro dell’interfaccia utente, sulla la possibilità di chiudere il gap tra tecnici e non tecnici rispetto al dialogo con le macchine e nel corso del tempo ci siamo accorti che si trattava di una rivoluzione sociale più che tecnologica”. Perché, ha spiegato, la funzione dell’AI generativa è paragonabile all’invenzione della stampa anche se, di per sé, i LLM non sono strumenti complessi e non possono causare gli scenari apocalittici spesso paventati. Tuttavia, stanno causando una crisi esistenziale e sociale, perché stanno mettendo in discussione gli equilibri che si sono consolidati nel recente passato. In questo senso, l’intelligenza artificiale generativa può essere considerata come una bilancia a braccio: da un lato, l’innovazione che permette di reinventare numerosi modelli di business; dall’altro, democratizzando e orizzontalizzando la conoscenza, l’AI mette in discussione il modo di conoscere e lavorare, con degli impatti sociali sui diritti e la società. “Dal nostro punto di vista, ha chiosato, l’AI generativa avrà un impatto leggero, e anche gestibile rispetto all’occupazione e aprirà finestre di opportunità per competere in numerosi settori. Assisteremo a un cambiamento radicale nella società, ma i diritti umani non saranno negoziabili e prevarranno nel corso della vera implementazione che andrà oltre il rumore di sottofondo derivante dalla comunicazione”.

Una breve storia dell’AI e la sua dimensione oracolare

(Il professor Roncaglia spiega il funzionamento delle reti neurali)

Concluso l’intervento di Sharka, Mariotti ha dato la parola a Gino Roncaglia, professore ordinario presso l’Università di Roma Tre. Questi, nel corso del suo intervento, ha messo in luce alcuni snodi decisivi per lo sviluppo dell’AI partendo da Alan Turing, passando per la prima definizione di intelligenza artificiale nel 1956, fino ai recenti sviluppi. Negli anni Cinquanta, ha spiegato, l’intelligenza veniva definita secondo un paradigma logico linguistico; nel corso del tempo si è scoperto che i sistemi logici hanno delle criticità e non è semplice definire delle regole universali per codificare il linguaggio. Da qui, ha argomentato Roncaglia, si è giunti al primo AI Winter (1973-1983). Successivamente si è assistito a un cambio di paradigma grazie alle reti neurali che sono state modellizzate all’interno dei sistemi informatici, replicando il funzionamento dei neuroni umani, prima con una soglia deterministica e poi con una probabilistica. Grazie a questi progressi si è giunti agli odierni LLM e ai relativi training models, legati a sistemi di discriminazione e classificazione. Si è infine giunti ai modelli generativi in grado di creare testi, immagini e video.

La funzione testuale, ha aggiunto Roncaglia, è emblematica perché esemplifica il sistema con cui funziona l’AI generativa che associa, secondo un metodo probabilistico, le singole parole (token) per formare delle frasi. Ciascun token, nella fase di addestramento basata su data set contenenti trilioni di frasi, viene definito secondo un modello matematico che prevede migliaia di dimensioni. Il sistema poi, inserito un prompt, funge in modo probabilistico associando i diversi token in una sequenza dal senso compiuto. Il suo funzionamento è quindi oracolare e, per certi versi sorprendente, vista la sua capacità di costruzione sintattica e semantica. Certo, ha concluso Roncaglia, ci sono allucinazioni e bias perché il sistema può assorbire le caratteristiche presenti nei data set di addestramento. In ogni caso, si tratta di sistemi sorprendenti ma non intelligenti in senso forte, perché non hanno la capacità di agire in senso umano.

L’uomo di fronte alla trasformazione tecnologica 

(Marco Mignani, Stefania Boschetti e Walter Mariotti tracciano le conclusioni dell’evento)

Dopo l’intervento di Roncaglia, si è tenuta un’esperienza di gaming, guidata da Federica Leonardi EY Manager Technology Consulting, per esplorare il potenziale dall’AI ma anche i suoi limiti e i suoi rischi.

Le conclusioni dell’evento hanno visto un confronto tra Boschetti, Mignani e Mariotti. La CEO ha evidenziato il potere delle reti di silicio dell’AI che superano le reti umane per efficacia ed efficienza anche se, come ricordato dal Professor Greco, non comportano sempre innovazione, ma certamente una trasformazione che deve essere governata. L’intelligenza artificiale, ha spiegato, avrà sicuramente un impatto - come avvenuto nelle epoche passate che hanno visto il passaggio dai fogli a quadretti e la calcolatrice a excel -, che andrà affrontato attrezzandosi con tutti gli strumenti culturali necessari. Un approccio condiviso anche da Mignani che ha messo in luce l’importanza della cultura per superare la dicotomia tra silicio e carbonio. La rinascita del rapporto tra filosofia e ingegneria e il senso delle connessioni interdisciplinari, stimolate dai progressi dell’AI, sono stati al centro della riflessione di Mariotti, che ha concluso con una domanda heideggeriana relativa al ruolo dell’uomo rispetto alla tecnologia e ai suoi salti quantici.

I prossimi appuntamenti di EY Circle, Inspire & Lead

Capitale umano e sostenibilità saranno i temi dei prossimi eventi di Alumni che si terrano a inizio 2025

Perché Villa Necchi: il valore dei contenitori architettonici

(Walter Mariotti racconta la storia architettonica di Villa Necchi)

Nel percorso EY Circle, Inspire & Lead gli spazi architettonici sono stati scelti per stimolare i contenuti in una dialettica contenitore-contenuto. La scelta di Villa Necchi, in questo senso, non è casuale ma si lega alla sua storia. Come spiegato da Walter Mariotti, quando Angelo Campiglio e le sorelle Necchi di Pavia decisero di acquistare un pezzo di terra in centro a Milano per costruire una casa vicino alla Scala, diedero l’incarico a uno dei più famosi architetti dell’epoca, Piero Portaluppi, con un budget ad libitum. Non sapevano, tuttavia, quello che sarebbe accaduto, perché Portaluppi non costruì una villa ma un’astronave. Concepita come residenza elegante ma confortevole, la villa era infatti moderna, sia nello stile sia negli impianti e nelle attrezzature, come si capiva da alcune innovazioni che raramente si erano viste in Italia: ascensore e montavivande, citofoni e telefoni, piscina riscaldata, la seconda piscina di Milano e la prima privata. I Campiglio-Necchi provarono a dare una chance a quell’astronave, in cui però continuavano a  non trovarsi a proprio agio. Così, dopo diverse riflessioni, a partire dal 1938 e per circa un ventennio, commissionarono a Tomaso Buzzi, un architetto non meno bravo e celebrato che rappresentava però in qualche modo il contraltare di Portaluppi, la sistemazione dell'esterno e poi il rifacimento dell'arredo di alcuni locali, in uno stile ispirato all'arte settecentesca, più morbido ed elaborato rispetto all'essenzialità degli ambienti originari di Portaluppi. Dall’eleganza della funzione si passò così all’eleganza del decoro, a dimostrazione che l’innovazione non è per tutti e che la cultura è un ingrediente cruciale per gestirla. Un monito, questo, anche per chi deve affrontare le sfide dell’innovazione e della trasformazione tecnologica abilitata dall’AI. 

About this article