“Il rafforzamento della governance e l’apertura a capitali esterni funge da leva strategia per rafforzare le acquisizioni, ottimizza il rischio/rendimento di operazioni trasformative come quelle di M&A e infonde maggiore confidenza nel muoversi sulle acquisizioni. Se guardiamo alla tipologia di acquirenti italiani all’estero, infatti, le aziende con innesto di capitali esterni (quotazione in Borsa, investitori di private equity ecc.) riportano la gran parte delle acquisizioni all’estero, ad esempio ben il 60% circa delle operazioni all’estero del 2023”. È il risultato complessivo di un’analisi condotta da Andrea Cacciapaglia, Partner, Strategy and Transactions, EY Italia, su dati Mergermarket e presentata in occasione della quarta puntata di EY M&A Compass, l’approfondimento sul mercato m&a italiano sviluppato da EY insieme a BeBeez.
In sostanza, sottolinea Cacciapaglia, “le aziende italiane più attive sul fronte m&a internazionale sono quelle che si sono strutturate per farlo in termini di organizzazione interna, management adatto e strategia focalizzata, il che accade più spesso nel caso di aziende nel cui capitale siano presenti investitori di private equity oppure investitori istituzionali, nel caso di aziende quotate. Detto questo, nulla vieta che anche le aziende familiari possano lavorare per essere in grado di cogliere a pieno le opportunità di sviluppo internazionale attraverso acquisizioni, ma serve appunto un piano strategico adeguato”.
Domanda. In tema di operazioni di m&a cross-border con protagoniste aziende italiane, che cosa dicono i dati più recenti?Risposta. Confermano che le aziende italiane, per le loro dimensioni e struttura di governance, sono tipicamente viste come target di acquisizione piuttosto che come soggetti attivi nelle operazioni di m&a cross-border. Se guardiamo infatti ai flussi di m&a internazionale che hanno coinvolto aziende italiane negli ultimi 10 anni (elaborazione EY su dati Mergermarket), escludendo quindi le operazioni Italia su Italia, si vede una forte prevalenza di transazioni sia per numero sia per valori di acquisizioni di target italiani promossi da acquirenti esteri piuttosto che su target esteri promosse da aziende italiane.
In particolare, del numero di transazioni cross-border complessive, in media oltre il 60% sono state acquisizioni di target italiani da soggetti esteri e solo il restante 40% acquisizioni di target esteri da parte di italiani. Vero è però che negli ultimi anni l’attività di m&a all’estero per le aziende italiane è stata decisamente più dinamica tanto che, nel 2023, si è raggiunta un picco storico di investimenti con quasi 300 operazioni completate e circa18 miliardi di euro di valore.
D. Dove investono all’estero le aziende italiane, quando lo fanno?
R. I settori più rilevanti oggi da un punto di vista di attività di m&a internazionale per le nostre aziende sono quelli dove la forza del tessuto imprenditoriale italiano è maggiormente sviluppato e quindi nel mondo industriale che nel 2023 contava quasi il 25% delle operazioni all’estero, insieme a tecnologia, seguiti da farmaceutico e beni di consumo. Quanto ai Paesi target, sono stati principalmente i maggiori Paesi europei con cui ci sono maggiori interscambi industriali e commerciali con una significativa quota della Spagna, seguita da Germania, Francia e Regno Unito. Interessante il focus sugli Stati Uniti che è mercato di grande attenzione per molte aziende italiane e che è al secondo posto come Paese target con 43 operazioni.
D. Forse questo cambio di passo nel 2023, con l’aumento degli investimenti sull’estero, è dovuto a operatori di private equity che hanno spinto le loro partecipate lungo questa strada?
R. È possibile. Sicuramente il peso delle operazioni di m&a condotte dai fondi sul totale del mercato italiano sta crescendo. A oggi siamo a circa il 35% del numero complessivo di deal, per un peso in termini di valore ben più elevato, perché molte delle operazioni di private equity più grandi vengono condotte da operatori esteri, principalmente di derivazione anglosassone.
D. Tornando alle medie e quindi alla difficoltà delle imprese italiane nell’avventurarsi in acquisizioni all’estero, quali sono le principali ragioni, secondo lei?
R. Questa tendenza storica è spiegata secondo me da due motivi fondamentali. Da un lato, dalle dimensioni aziendali mediamente ridotte, che quindi rendono più complesso imbarcarsi in operazioni di m&a all’estero per limitazioni sia di capitale sia di management. E dall’altro lato, da aspetti culturali legati alla minore confidenza delle aziende di natura familiare rispetto alle operazioni di m&a soprattutto su Paesi diversi dal mercato domestico.
D. E quindi, visto che lo sviluppo su mercati internazionali è sempre più rilevante per sostenere gli obiettivi di crescita delle aziende, come si può uscire dall’impasse?
R. È fondamentale strutturare una strategia chiara di obiettivi per aree geografiche e specifici di business per indirizzare l’attività di identificazione dei target e definire una coerenza forte tra strategia ed esecuzione delle attività di m&a. L’attività di m&a è infatti una delle vie strategiche di crescita e non un obiettivo di per sé. In questo senso, un rafforzamento delle aree di strategia/m&a all’interno delle aziende e la composizione di una squadra interna ed esterna focalizzata su questo filone di attività è importante per avere focus e risorse dedicate. L’approccio all’operazione di m&a all’estero risulta più efficace quando è proattivo, cioè studiando i target e provando a strutturare l’operazione in anticipo rispetto a quando andrà sul mercato, rispetto a un approccio reattivo in cui può accadere che quando l’azienda di interesse va sul mercato è troppo tardi.
D. Secondo lei gli imprenditori italiani sono pronti a farsi guidare lungo questa strada?
R. Le rispondo con i risultati di un sondaggio che EY ha commissionato lo scorso gennaio tra imprenditori e manager di numerose aziende italiane come contributo al nostro EY CEO Outlook Pulse. Abbiamo registrato una forte priorità di sviluppo e trasformazione da parte di chi guida le nostre aziende con un 76% di ceo che vedono trasformazioni del proprio business nei successivi 12 mesi (rispetto il 58% a livello globale) e ben il 98% che intende perseguire operazioni straordinarie nello stesso orizzonte di tempo (rispetto 84% a livello globale). Nello specifico, nei dialoghi quotidiani che abbiamo con i clienti sulle strategie di crescita, quella legata allo sviluppo inorganico (quindi m&a) all’estero è argomento di sempre maggiore interesse.