In occasione dell’evento, EY ha realizzato una ricerca incentrata sul contesto socioeconomico e le spinte all’innovazione nel Mezzogiorno e in Calabria che ha evidenziato la persistenza di una “questione meridionale” da affrontare con strumenti nuovi. In generale, il divario che separa le regioni del Mezzogiorno da quelle del Centro-Nord è ancora persistente, tuttavia, il Mezzogiorno rappresenta un’area strategica per l’Italia e per l’Europa per reagire alla crisi e ripartire.
Il tessuto imprenditoriale calabrese, seppure costituito in gran parte da imprese piccole e piccolissime, ha saputo reagire alla crisi generata dalla pandemia e nel corso del 2021 si è assistito a una significativa ripresa. Secondo l’indicatore trimestrale dell’economia regionale (ITER) della Banca d’Italia, l’economia in Calabria è cresciuta del 5,7% rispetto all’anno precedente[i]. Nonostante ciò, la crescita risulta essere ancora insufficiente a colmare il calo dovuto alla crisi pandemica e oggi è rallentata dall’incremento dei costi energetici e di carenza delle materie prime. Il secondo settore è quello che più rapidamente si è ripreso dall’emergenza: il fatturato delle imprese è risalito, trainato dalla rapida ripresa del settore industriale, ma soprattutto delle costruzioni, grazie al forte impulso dato dall’intervento pubblico[ii].
La ripresa delle aziende calabresi sembrerebbe aver avuto un effetto positivo anche sulla crescita del lavoro[iii]. Nel 2021 in Calabria, il tasso di occupazione nella fascia di età 15-64 anni è del 42% circa, in crescita di 1 punto percentuale rispetto al 2020, ma di quasi 3 punti percentuale (2,8%) inferiore a quello del Mezzogiorno (44,8%) e di 17 punti inferiore a quello nazionale (58,2%)[iv]. Il tasso di disoccupazione si è contemporaneamente ridotto tra il 2021 e il 2020 di circa il 2%, arrivando al 17,9% tasso più alto di quello del Mezzogiorno (16,4%) e di quello nazionale (9,5%)[v].
Sotto il profilo sociale si registra in tutto il Mezzogiorno un forte depauperamento del capitale umano, dovuto alla migrazione della parte di popolazione del Sud verso il Centro-Nord e, contestualmente, sono diminuite le nascite.
Dalla ricerca emerge comunque un’evidente centralità del Sud rispetto a diversi fattori: oltre ad essere un grande mercato per le aziende del Nord e in generale per il sistema produttivo europeo, il Sud risulta essere l’area in cui si produce circa un terzo (36%) dell’energia nazionale da fonti rinnovabili e oltre il 90% dell’energia eolica italiana[vi]. Il Sud è l’area in ritardo di sviluppo più grande in Europa e il rilancio del Mezzogiorno è essenziale per la ripresa di tutto il Paese.
Inoltre, le imprese giovanili nel Sud Italia sono circa il 10% del paniere complessivo contro una media nazionale di circa l’8%. Le imprese innovative sono il 17% ma dal 2014 ad oggi sono raddoppiate rispetto ad una crescita nazionale del 34%. E ancora: le startup innovative sono il 33% rispetto al 30% della media nazionale e i ragazzi iscritti alle discipline STEM sono il 25%, un punto percentuale in più del resto d’Italia.[vii]
Nonostante il divario tra Nord e Sud, si rilevano, quindi, dati incoraggianti che fanno intravedere piccoli ma fondamentali segni di rinascita e che dimostrano come il Mezzogiorno possa rappresentare un’importante riserva per la crescita dell’intero Paese.
La consapevolezza di quanto sia importante accelerare lo sviluppo del Mezzogiorno rende evidente l’opportunità di utilizzare al meglio e nel modo più efficace ed effettivo l’investimento di circa €86 miliardi per il Sud inserito del PNRR, corrispondente a oltre il 40% delle risorse allocabili territorialmente. A fronte di tale dotazione, le assegnazioni già disposte sinora per la Calabria risulterebbero pari a circa €3,3 miliardi (5,1% del totale nazionale)[viii], di cui quelle a favore degli enti territoriali calabresi ammontano a €1,8 miliardi (il 5,3% del totale nazionale)[ix]. Molte risorse sono ancora da assegnare, evidentemente è molto complesso effettuare una stima, ma l’osservatorio EY ipotizza che si possa arrivare fino a circa 9 miliardi, cifra da considerare con grande cautela in relazione alla natura non territorializzabile di molti investimenti[1].
Le risorse stanziate nel PNRR andranno a sommarsi a quelle degli investimenti ordinari e a quelli della politica di coesione comunitaria e nazionale (3,2 miliardi per il nuovo Programma FESR/FSE più il nuovo Piano Sviluppo e Coesione e il Nuovo Piano per lo sviluppo rurale in corso di definizione. In questa prospettiva, nel contempo, sarà decisivo l’apporto degli investitori privati al fine di consolidare virtuosi processi di matching fund.